Lo scorso fine settimana io e Diego siamo usciti a cena con dei nuovi amici.
Siamo stati in un ristorante giapponese e per me è stata la prima volta da quando sono qui alle Canarie. Premetto che amo il pesce, ma il sushi è proprio uno di quei cibi che mi crea dipendenza: diventa difficile smettere di volerne altro.
Sabato sera, quando mi sono seduta in quel sushi bar, sono riaffiorati nella mia mente un sacco di ricordi.
Qualche anno fa era tutto molto diverso da oggi.
Tra i 20 e i 25 anni non solo avevo un brutto rapporto sia con me stessa che con il mio corpo, ma anche con l’alimentazione. Ero insoddisfatta della mia vita, del mio lavoro, e trascorrevo le mie giornate nell’attesa del weekend. Non vedevo l’ora di quell’appuntamento settimanale al mio “all you can eat” di fiducia.
Ricordo che in quell’occasione indossavo persino una tuta, un po’ per nascondermi e un po’ perché il mio obiettivo non era godermi la compagnia o un piatto particolare, ma mangiare per sfogarmi. Mangiavo senza un reale piacere, solo per colmare dei vuoti, ricercando così una gratificazione momentanea e illusoria.
Ma quello era solo uno dei tanti episodi di quel periodo. Cadevo sempre nella stessa trappola, riversavo le mie frustrazioni nel cibo e non riuscivo a vedere una via d’uscita.
Sono consapevole che quello è stato un mio grande problema, che mi ha condizionata per molto tempo nella mia vita e nelle mie relazioni, ma oggi è diverso. Non è perfetto, ma è diverso.
Sono stati necessari errori, prove, vittorie, esperienze. C’è voluto tempo e tanta voglia di volermi fidare di me stessa.
Ciò non vuol dire che ora non mi capitino più delle ricadute o volte in cui mi sento in difficoltà – un mesetto fa ve ne avevo parlato -, ma il mio modo di affrontare queste situazioni è sicuramente migliorato.
Con il tempo ho cambiato prospettiva. Piano piano sono riuscita a modificare il mio comportamento in quei momenti in cui d’impulso era più facile trovare una consolazione immediata nel cibo.
Voglio condividere con voi alcuni punti che per me sono stati fondamentali per arrivare alla consapevolezza che ho oggi.
Osservarsi con distacco
Quando percepisco che il mio istinto mi porterebbe a sfogare le mie frustrazioni nel modo sbagliato, ho imparato a prendermi del tempo per rallentare. Respiro e osservo la situazione più dall’esterno, come se fossi un’estranea.
So che certi impulsi non si possono eliminare del tutto e che tantomeno possiamo controllare le nostre emozioni o ciò che ci può ferire. Possiamo solo lavorare sulle nostre reazioni, impegnandoci a non cedere, trovando un momento per osservarci con distacco, in modo più lucido e razionale.
Per arrivare a questo punto è stato necessario fare un gran lavoro su di me, aiutandomi grazie alla meditazione, alla scrittura e alla rilettura delle mie considerazioni.
Fare leva sulle emozioni negative, facendo tesoro e non colpa delle esperienze passate
Mi domando come mi sentirei se mi facessi trascinare dai miei impulsi, sfogando così il mio stress con il cibo. Mi chiedo quale sarebbe la mia energia, la mia autostima e il mio modo di vivere nei giorni successivi.
Ho fatto tesoro delle esperienze del passato perché ricordo bene ciò che provavo in quelle occasioni.
Tu non sei le tue debolezze
A volte dopo una ricaduta mettiamo in discussione tutti i passi in avanti che abbiamo fatto, tutto il nostro percorso. Non possiamo pretendere che un problema non torni più, ma possiamo avere degli strumenti per vivere diversamente quella difficoltà ed affrontarla.
Accogli le tue emozioni e ricorda che la fame emotiva non sei tu. Tu sei oltre i tuoi problemi. Guarda quella debolezza come a qualcosa di differente da te.
Aiutarsi a livello pratico
Noi possiamo aiutarci attraverso le nostre circostanze, circostanze che noi stesse possiamo costruirci. Come fare nella pratica? Ad esempio non tenendo i cibi “trigger” in casa, ovvero quegli alimenti che sono il nostro punto debole.
Il mese scorso è capitato anche a me: ho riconosciuto il mio momento di debolezza e quando sono andata a far la spesa ho voluto essere una mia alleata. Sarò passata davanti al reparto dei gelati almeno una decina di volte, ma non per questo mi sono sentita sbagliata.
Non siamo infallibili, ci sono momenti in cui cadiamo. La vittoria più grande non è non cadere mai, ma è imparare a reagire sempre meglio dopo ogni caduta, usando in modo sempre più efficiente i nostri strumenti. Perché usarli o non usarli è una nostra scelta.
Riconoscere le cause
Bisogna guardare in faccia la realtà e capire il perché di ciò che sta succedendo.
Le nostre reazioni ci portano a non vedere con chiarezza le cause e finiamo per dare la colpa al cibo. Ma se ci distacchiamo e rallentiamo possiamo capirne il vero motivo. Tante volte ci riempiamo con il cibo perché non ci piace la nostra stessa compagnia o quella di chi ci circonda, oppure perché non ci sentiamo ascoltati, capiti o non riusciamo ad esprimerci.
Anche quelli che all’apparenza sono dei piccoli problemi, se ce li teniamo dentro, con il passare del tempo diventano macigni.
Siamo incredibilmente complicate, ma ogni malessere che abbiamo deriva da qualcosa.
Possiamo decidere se subire le difficoltà o prendere in mano la situazione.
Non scappare
Conoscere le cause non comporta avere delle soluzioni immediate. Sii consapevole che puoi fare qualcosa di diverso per conseguire un risultato differente.
Io ho iniziato a stare bene quando ho riconosciuto le radici del mio malessere, ovvero il lavoro e l’ambiente in cui ero, e ho creato un piano per allontanarmi da quella situazione.
Vai a modificare nel concreto le tue azioni, altrimenti quegli identici comportamenti ti porteranno sempre allo stesso risultato.
Ognuno ha le proprie ferite da trattare con gentilezza.
Cercate di scegliere quelle circostanze, situazioni, parole e persone che vi portino a fare un passo alla volta, verso la direzione più giusta.
Non siamo infallibili.
Un momento di debolezza non è un fallimento.
Non abbiate fretta, ma datevi la possibilità di riprovarci di nuovo.
22 Ottobre 2021